Novembre: mese della prevenzione dei tumori maschili

Novembre è infatti il mese dedicato alla salute al maschile, non solo per la prevenzione dei tumori alla prostata (la prima causa di morte nell’uomo) ma anche per la prevenzione dei suicidi e per prendersi cura anche della salute mentale.
MOVEMBER nasce dalla crasi della parola “moustache” (baffi) e November (novembre in inglese), questo perchè gli uomini sarebbero tenuti a farsi crescere i baffi per tutto il mese.

Il più diffuso tra le patologie maschili è senza dubbio il tumore della prostata, con un’incidenza di oltre 40.000 nuovi casi nel 2022 in Italia.
Nell’ultimo decennio, il tumore alla prostata è divenuto il più frequente nella popolazione maschile dei paesi occidentali. Alla base di questo fenomeno, più che la presenza di fattori di rischio, c’è la maggiore probabilità di diagnosticare tale malattia attraverso uno screening precoce attraverso:

  • il dosaggio del PSA,
  • l’esame digitorettale,
  • l’ecografia prostatica,
  • la biopsia sotto guida ecografica.

Nella fase iniziale il carcinoma della prostata è in genere asintomatico, ma con il progredire della malattia loco-regionale compaiono alcuni sintomi come la diminuzione della potenza del getto urinario, l’ematuria, la disuria e il dolore perineale.
La prostatectomia è l'intervento chirurgico eseguito per il trattamento del cancro alla prostata ed è oggi considerata la forma di trattamento più efficace per il cancro alla prostata localizzato.

La chirurgia prevede l’asportazione della ghiandola prostatica, posta sotto la vescica e anteriormente al retto. Si rende necessaria anche una linfoadenectomia dei linfonodi pelvici, cioè un’asportazione più o meno ampia di quei linfonodi che drenano la zona perineale. Possono essere necessarie anche altre terapie come la radioterapia, chemioterapia e ormonoterapia a seconda della valutazione dello stadio della patologia.

Gli esiti di una prostatectomia sono spesso poco conosciuti e descritti; è facile incorrere in un’incontinenza urinaria transitoria e una difficoltà di erezione come esiti principali dell’intervento. A seguito dell’asportazione dei linfonodi e/o della radioterapia si può manifestare un linfedema secondario di arti inferiori e del pube.
Sono problematiche queste da non sottovalutare e che incidono fortemente sulla qualità di vita dopo l’intervento; pertanto è importante rivolgersi a fisioterapisti specializzati nel trattamento del pavimento pelvico maschile e del linfedema.

Esistono anche i tumori del testicolo che rappresenta circa il 10% dei tumori del tratto uro-genitale maschile e colpiscono giovani uomini tra i 15 e i 45 anni; e i tumori del pene, molto rari (circa 500 in un anno in Italia) tipici di uomini anziani e HPV correlati.
Queste patologie sono tumori molto più rari rispetto a quello prostatico ma con un’impatto importante sia dal punto di vista clinico che psicologico; necessitano anche loro di fisioterapia specifica per gli esiti degli interventi.

Come interviene il Fisioterapista?

L'incontinenza urinaria dopo prostatectomia radicale può avere durata e intensità variabili, poiché la sua comparsa è direttamente correlata al grado di lesione che si è verificata nello sfintere distale durante l'intervento. È per questo motivo che alcuni pazienti che hanno subito un intervento chirurgico non sviluppano il problema, mentre altri sviluppano una grave perdita di urina.
Il trattamento principale è conservativo, consiste nella riabilitazione del pavimento pelvico e in modifiche dello stile di vita.
La Fisioterapia per il pavimento pelvico maschile, in questo caso, lavora sul perineo maschile, su un gruppo muscolare situato tra la base del pene e l'ano. L'allenamento di questi muscoli mira a migliorare la forza muscolare e la resistenza nella regione, favorendo così la chiusura dell'uretra.
La riabilitazione del pavimento pelvico è il trattamento conservativo più consigliato e accreditato secondo la letteratura scientifica.

SINDROME GENITOURINARIA NELLA DONNA OPERATA AL SENO

Con il termine Sindrome genitourinaria si intende un complesso di disturbi che, come dice la parola stessa, riguardano sia l’apparato genitale che quello urinario. Tra queste manifestazioni ci sono condizioni direttamente legate al calo nella produzione di estrogeni che è fisiologico nel periodo della menopausa. La sindrome genitourinaria è legata alla menopausa, si stima che colpisca oltre il 50%- 70% delle donne al termine della vita fertile.

I sintomi più frequenti sono:

  • secchezza vaginale
  • dolore ai rapporti (dispareunia)
  • prurito
  • urgenza urinaria
  • infezioni delle vie urinarie
  • cistiti ricorrenti

Nel quadro della sindrome genitourinaria rientra l’Atrofia Vulvo Vaginale, una condizione progressiva che può interessare le donne in menopausa e post-menopausa e che è a carico dell’apparato genitale.
Nelle donne operate al seno poiché alcuni tumori della mammella sono ormono-dipendenti, possono essere somministrati tamoxifene, l'analogo dell'LH-RH e farmaci più nuovi come gli inibitori dell'aromatasi sono degli antiestrogeni. Alcune donne sottoposte all'ormoterapia lamentano sintomi simili a quelli della menopausa, come sbalzi d'umore, perdite vaginali, secchezza e ridotta elasticità della vagina, come pure diminuzione del desiderio sessuale.
Molti trattamenti oncologici possono anticipare i problemi tipici della sindrome genito-urinaria nelle donne che non hanno ancora raggiunto l'età della menopausa e comunque peggiorarli nelle donne in post-menopausa.
Le pazienti sottoposte a trattamento chirurgico, radioterapico, chemioterapico o ormonale adiuvante per la terapia di un tumore vanno incontro ai sintomi tipici della sindrome genito-urinaria che talvolta possono raggiungere livelli di particolare gravità al punto da ridurre le opzioni terapeutiche disponibili per contrastarli.

 

I trattamenti disponibili per la sindrome genito-urinaria sono ormonali e non ormonali.
I trattamenti ormonali includono creme vaginali, anelli vaginali e ovuli vaginali, o specifici farmaci con azione parzialmente ormonale.
I trattamenti non ormonali includono lubrificanti vaginali, gel nutrienti/idratanti vaginali, stimolazione sessuale regolare, esercizi di fisioterapia per il pavimento pelvico.
Esistono anche trattamenti con laser vaginali (CO2 o Yag) e radiofrequenza non ablativa che trovano grande impiego e beneficio nel trattamento della sindrome genito-urinaria.
Il razionale del trattamento è il ripristino della normale fisiologia vaginale e vulvare che porta all’attenuazione dei sintomi, migliorando così la qualità di vita delle donne in menopausa.

Fisioterapia per il trattamento chirurgico del lipedema

Le opzioni di trattamento conservativo non sono le uniche a disposizione delle persone con lipedema: anche le opzioni chirurgiche possono essere appropriate.

La chirurgia rappresenta una opzione terapeutica importante ma non risolutiva per la malattia e comunque non è priva di rischi!

L'intervento può causare complicazioni a lungo termine, per questo deve essere eseguito da chirurghi esperti nella cura di persone affette da lipedema.

Studi scientifici hanno dimostrato che la chirurgia è un trattamento efficace per il lipedema se adoperata come parte del trattamento integrato per la malattia.

Fisioterapia per il trattamento chirurgico del lipedema

Nella mia esperienza ho avuto modo di trattare pazienti provenienti da varie scuole chirurgiche: tedesca, spagnola, e italiane naturalmente. Quello che più è interessante per me è confrontarmi con i vari protocolli pre e post operatori per lipedema e adattarli sulla persona e sul suo stato fisico e clinico.
Ho imparato a lavorare con la “spremitura” manuale dei drenaggi, a risolvere fibrosità post-operatorie e a drenare piccoli e grandi ematomi; a costruire bendaggi post-operatori specifici per ogni situazione clinica, tutto con molta umiltà, dedizione, utilizzando tecniche adeguate e sperimentando un mio metodo di lavoro manuale specifico.

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Lipedema e Linfedema sono termini spesso usati come sinonimi, errore più grande non si potrebbe fare!

Sono infatti patologie spesso confuse, ma in realtà differenti tra loro. 

La diagnosi precisa di ciascuna è fondamentale nell'identificare lo specifico percorso di cura e l'adeguato trattamento fisioterapico; è necessaria dunque esperienza e competenza specifica in linfologia.

L'approccio diagnostico quindi migliore è quello in cui Medico e Fisioterapista si integrano e valutano il paziente in maniera più globale possibile; la presa in carico della persona da parte del team multidisciplinare per queste patologie è l'espressione del coinvolgimento di diversi specialisti (angiologo-linfologo, endocrinologo, nutrizionista, fisioterapista, tecnico ortopedico...) per garantire il miglior risultato possibile al percorso di cure.


In cosa consiste la visita?


Il Medico e il Fisioterapista dopo un'accurata anamnesi, valutano i segni clinici delle patologie, utilizzano esami strumentali specifici ed eseguono un'accurata valutazione morfologica, tissutale e posturale, per arrivare insieme alla diagnosi e alla proposta terapeutica più adeguata e personalizzata possibile, condividendo insieme alla persona il percorso.

Grazie alla collaborazione con Nutrizionisti, Chirurghi e Tecnici ortopedici qualificati e specializzati in questi ambiti sarà possibile indicare alla persona qualsiasi supporto clinico sia necessario.
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GLOSSARIO DEL PAVIMENTO PELVICO

VULVODINIA e VAGINISMO

La Vulvodinia è una malattia ginecologica caratterizzata da dolore cronico a carico della vulva e dei tessuti che circondano l'accesso alla vagina. Si presenta soprattutto in età fertile, ma può presentarsi anche in altri periodi della vita di una donna, dalla pubertà alla menopausa. Si distingue tra vulvodinia:

  • spontanea, quando il dolore e fastidio sono avvertiti anche in assenza di stimolazione
  • provocata, quando i sintomi si presentano a seguito di una stimolazione, come una penetrazione vaginale o anche un semplice contatto.
In base alla sua localizzazione viene distinta in generalizzata, quando il disturbo interessa tutta l’area vulvare, e localizzata, quando il disturbo è limitato a precise zone (come il clitoride o il vestibolo).

La vulvodinia provoca bruciore, irritazione, secchezza, sensazione di abrasione a livello vulvare, tensione, sensazione simile a punture di spillo, disepitelizzazione, percezione di avere tagli sulla mucosa e gonfiore. Si differenzia bene dal semplice prurito e in genere non è accompagnate da traumi fisici visibili a occhio nudo.
Le cause della vulvodinia sono varie e possono corrispondere a:
  • infezioni batteriche o micotiche vaginali e vescicali
  • lesioni del nervo pudendo dovute al parto a o traumi
  • ipercontrattilità vulvo-perineale
  • traumi derivanti da rapporti sessuali
  • visite o interventi chirurgici ginecologici.

Questo disturbo può anche essere causato da abitudini quotidiane come l’andare in bicicletta, l’indossare indumenti troppo stretti o, a volte, anche stando semplicemente sedute. 

La vulvodinia rientra a far parte delle allodinie, gruppo di neuropatie cutaneo mucose; può essere coinvolto il n. Pudendo; alla base del problema della vulvodinia vi è una diminuzione della soglia di attivazione dei nocicettori.

 

Il vaginismo è una disfunzione sessuale della donna che consiste nello spasmo involontario della muscolatura vaginale, che ostacola la penetrazione. 
É  una reazione che probabilmente risulta dall’associazione di dolore e paura ai tentativi di penetrazione vaginale o anche alla sola fantasia di penetrazione. Lo stimolo negativo originario può essere stato dolore fisico o angoscia psicologica. Anatomicamente i genitali della donna sono normali. Tuttavia, in caso di vaginismo, quando si tenta la penetrazione, l’accesso vaginale si serra talmente che l’atto sessuale è impossibile e persino gli esami vaginali devono essere spesso effettuati sotto anestesia. Questa condizione è dovuta ad uno spasmo involontario dei muscoli che circondano l’accesso vaginale; a volte la donna reagisce con tutto il corpo, stringendo anche le gambe, inarcando la schiena e allontanando il proprio partner con le mani.

In entrambe le condizione è necessario un approccio multidisciplinare e riabilitativo del pavimento pelvico, in particolare il Fisioterapista può offrire una valutazione d’insieme che comprende anche aspetti posturali e neuropatici.

ENDOMETRIOSI

L’endometriosi è una patologia ginecologica benigna, ad eziopatogenesi incerta, che interessa il 10-12% delle donne in età fertile

Si tratta di una malattia infiammatoria cronica e ricorrente, caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale (la mucosa che normalmente riveste l’interno della cavità uterina) in siti ectopici, cioè al di fuori dell’utero.

La maggior parte dei focolai ectopici si localizza a livello pelvico (interessando ovaie, peritoneo, legamenti uterosacrali, cavo del Douglas e setto retto-vaginale) anche se, seppur raramente, si possono ritrovare anche in zone extrapelviche.

Compromette la qualità di vita della donna essendo caratterizzata da sintomatologia molto dolorosa e ha un impatto negativo sulla fertilità.

I sintomi più comuni sono:

  • dismenorrea (dolore durante le mestruazioni)
  • mestruazioni abbondanti
  • dispareunia (dolore durante rapporti sessuali)
  • dolore pelvico cronico
  • dolore alla defecazione e/o minzione
  • diarrea o stipsi
  • difficoltà a rimanere incinta
La reale prevalenza dell’endometriosi resta ancora oggi sconosciuta, principalmente a causa della difficoltà nel diagnosticare la malattia; i sintomi spesso sono aspecifici, per cui la malattia viene sospettata più difficilmente e tardivamente, alcune pazienti sono poi asintomatiche. Si stima una latenza media di 6-7 anni dall’insorgenza dei sintomi alla diagnosi. Le cure possono richiedere anche l’intervento della chirurgia, ma sono personalizzate in base al quadro clinico della paziente. 

A causa del dolore e dell’infiammazione dati da questa patologia si crea una contrattura cronica dei muscoli del pavimento pelvico, che a sua  volta mantiene ed aumenta il dolore ai rapporti e alle altre funzioni del pavimento pelvico. Il ruolo della Fisioterapia è quello di eliminare la contrattura cronica, lavorare sulla postura e la respirazione, ripristinando normale elasticità muscolare.

DISPAREUNIA

Dispareunia significa dolore durante il rapporto sessuale!

 

La dispareunia presenta diverse possibilità di classificazione, ma quella che più comunemente viene utilizzata prevede una suddivisione in:

  • Dispareunia superficiale (dolore durante la penetrazione): talora il dolore non permette la penetrazione e si localizza tipicamente in sede superficiale o nel primo tratto vaginale.
  • Dispareunia profonda (dolore che si verifica in seguito alla penetrazione vaginale completa).
  • Dispareunia mista, caratterizzata dalla presenza di entrambi i tipi, superficiale e profonda.

Può inoltre essere classificata in:

  • Dispareunia primaria (quando il dolore è presente fin dall’inizio dell’attività sessuale)
  • Dispareunia secondaria (quando il dolore si sviluppa in seguito a una precedente attività sessuale che non era dolorosa).
Determinare se la dispareunia sia superficiale o profonda è molto utile, in quanto può portare a ipotizzare specifiche cause, mentre la distinzione tra primaria e secondaria ha meno probabilità di restringere la diagnosi differenziale.

Le cause di dispareunia possono essere suddivise in cause psicologiche o fisiche.

Le cause psicologiche più comuni sono:

  • Esperienze sessuali traumatiche, come storie di abusi.
  • Educazione familiare e/o religiosa rigida e sessuofobica
  • Disturbo d’ansia generalizzato
  • Immaturità psicosessuale (caratteristico delle donne più giovani).

 

Le cause fisiche di dispareunia sono moltissime e possono essere inquadrate andando a suddividere la dispareunia in superficiale, profonda o mista.

Superficiale:
  • vaginismo, vulvodinia
  • patologie dermatologiche (ad esempio lichen planus, lichen sclerosus o psoriasi).
Profonda:
  • endometriosi
  • infezioni (come ad esempio endometriti, cistiti e malattia infiammatoria pelvica),
  • cistite interstiziale (malattia infiammatoria cronica della vescica a causa attualmente sconosciuta),
  • aderenze pelviche (il più delle volte dovute a esiti di interventi chirurgici o di radioterapia nella zona pelvica),
  • utero retroverso (condizione para-fisiologica in cui l’utero invece di essere piegato, o flesso, in avanti, è piegato all’indietro, appoggiato leggermente sull’intestino),
  • miomi uterini (tumori benigni del tessuto muscolare dell’utero),
  • radicolopatie che interessano l’innervazione profonda della vagina (patologia del sistema nervoso periferico che colpisce la radice di un nervo spinale, dando una compressione profonda, il più delle volte dovuta a ernia del disco).
Mista:

Lubrificazione vaginale inadeguata: può essere causata da un disturbo dell’eccitazione sessuale o da un disturbo di secchezza vaginale cronico.

Tra le cause di disturbo di secchezza vaginale cronico possiamo trovare:

  • disturbi ormonali, disturbi vascolari
  • disturbi neurologici (come la neuropatia diabetica),
  • uso di contraccettivi ormonali (pillola, cerotto, anello),
  • chemioterapia
  • radioterapia
  • dispareunia post-parto,
  • atrofia vaginale (condizione che si sviluppa in circa il 50% delle donne in post-menopausa a causa di livelli decrescenti di estrogeni; comporta una maggiore secchezza e perdita di elasticità vaginale).

Ti è mai capitato di avere dolore durante i rapporti? Queste condizioni si possono risolvere o migliorare con la riabilitazione del pavimento pelvico

DOLORE PELVICO CRONICO

La sindrome da dolore pelvico cronico è un insieme di sintomi che si presentano soprattutto con un dolore localizzato nell’area pelvica o perineale e che si può irradiare fino alla regione lombare, all’inguine, a vagina e vulva, alla regione sovrapubica, al sacro-coccige e alla radice delle cosce.

Perché sia considerato tale, è necessario che duri da almeno 6 mesi e che non presenti meccanismi patogenetici tipici del dolore acuto.

 

Quali sono le cause del dolore pelvico cronico?

Il dolore pelvico cronico può avere varie cause di natura vescicale, uretrale, prostatica, ginecologica, anorettale, neuogena, vascolare, osteomuscolare o cutanea.

Se la causa può essere differente, l’origine è comunque comune ed è dovuta all’infiammazione neuro-mediata oltre che al ruolo dei mastociti, le cellule immunitarie capaci di stimolare alcuni processi infiammatori.

 

Quali sono i sintomi del dolore pelvico cronico?

Nella vasta famiglia del dolore pelvico cronico rientrano numerosi sintomi, tra cui: vulvodina e vestibolodinia, prostatite cronica e prostatodinia, cistite abatterica, sindrome della vescica dolorosa, sindrome uretrale, dispareunia (rapporto sessuale doloroso), sindrome dell’elevatore dell’ano, coccicodinia, proctalgia fugax e nevralgia del pudendo.

A questi va aggiunta la contrazione involontaria dei muscoli vaginali inferiori dovuta all’inconscio desiderio della donne di evitare la penetrazione per non dover subire il dolore.

 

Come si può curare il dolore pelvico cronico?
La cura del dolore pelvico cronico varia da soggetto a soggetto. Per individuare il giusto percorso terapeutico può essere necessario tentare varie strade, l’approccio migliore è sempre quello multidisciplinare.

Si può andare dall’approccio farmacologico, all’approccio psicoterapeutico, all’approfondimento di eventuali problematiche sessuali alla gestione dello stress.

Risulta fondamentale poi il trattamento personalizzato del pavimento pelvico; grazie alla fisioterapia infatti si può intervenire sulle cause primarie del dolore, migliorare la sintomatologia nell’area pelvica andando ad avere un impatto positivo sulla qualità di vita.
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Cos’è una cicatrice?

Cos'è una cicatrice? É un tessuto fibroso che si forma per riparare una lesione, è dovuta alla proliferazione del derma e dell’epidermide.

Una cicatrice cutanea è una perturbazione macroscopica della normale struttura e funzione dell’architettura tegumentaria, in seguito alla rimarginazione di una ferita (Durani P. et al., 2009) 


La cicatrizzazione è il processo riparativo di tale perturbazione; una serie di eventi finalizzati alla neo formazione di un tessuto connettivo.

La cicatrizzazione si definisce quindi come un processo riparativo e non rigenerativo.

É un processo lungo che si divide in 4 fasi specifiche:

    • Fase emostaticaè la risposta locale all’ emorragia; 
    • Fase infiammatoria: nelle 24h successive al danno arriva l’infiammazione dei tessuti, serve per eliminare l'agente patogeno. Inizia dopo il trauma e si prolunga per una settimana circa.
    • Fase proliferativa: da 8-14gg, proliferazione cellulare delle strutture epiteliali, endoteliali e connettivali presenti sui bordi della ferita, che dà origine a un tessuto detto di granulazione. 
    • Fase di rimodellamento: colorito pallido, pelle liscia, anelastica, con irrorazione e innervazione ridotte. Questa fase dura anche per mesi o per anni.
Esistono anche cicatrici dette patologiche come le cicatrici ipertrofiche, il cheloide e la cicatrice retraente.
 
Le cicatrici causano raramente deficit funzionali, più spesso inestetismi o disestesie  locali, ma talvolta possono essere causa di stasi linfatica locale, per questo andrebbero trattate dal fisioterapista.

Sai che ruolo ha il fisioterapista nel trattamento della cicatrice? 

Nonostante non esistano evidenze scientifiche su quale sia il trattamento migliore per le cicatrici, le cicatrici risultano sensibili alla maggior parte dei trattamenti fisioterapici conservativi, con la possibilità di fare contenere o fare regredire il peggioramento della stessa.
 
Il fisioterapista esperto valuta con appositi test il tessuto cicatriziale e può usare differenti tecniche per il trattamento tra cui:

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Tumore al seno metastatico

Il tumore della mammella in fase metastatica identifica una condizione in cui il tumore, originato dalla mammella, si è diffuso in altre parti del corpo: si parla anche di tumore “in fase avanzata” o di tumore “stadio IV”.

Il tumore della mammella può ripresentarsi sotto forma di metastasi anche dopo molti anni dall’intervento chirurgico e dalla fine delle terapie postoperatorie. Si stima che fino al 30% delle donne che sono state operate per un tumore della mammella diagnosticato in fase precoce possa negli anni andare incontro ad una recidiva di malattia: questa può essere “locale” (recidiva di malattia nella mammella operata o in quella controlaterale), “locoregionale” (nei linfonodi o nella cute vicino al tumore operato) oppure “a distanza” (cioè in organi e sedi distanti dal tumore originario, come le ossa, i polmoni, il fegato, etc.).

tumore al seno metastaticoLe metastasi possono presentarsi nonostante il tumore sia stato rimosso completamente dal chirurgo; queste cellule possono essere in grado di sopravvivere anche alla radioterapia e alle terapie farmacologiche effettuate a scopo precauzionale. 

Gli organi dove più frequentemente possono essere diagnosticate le metastasi sono le ossa (in particolare quelle della colonna vertebrale, del bacino, dei femori, delle costole e della teca cranica), i polmoni, la pleura, i linfonodi, la pelle, il fegato, e, più raramente, il cervello.

In alcuni casi (< 5% dei casi) il tumore della mammella può esordire già in fase metastatica, cioè essere “metastatico alla diagnosi”. Questo significa che il tumore della mammella non era ancora stato scoperto fino al momento della scoperta delle metastasi in altri organi del corpo. 

Le donne con tumore al seno metastatico convivono con una malattia cronica. Occorre infatti distinguerlo dal tumore al seno non metastatico perché si tratta di due condizioni differenti. Il tumore al seno metastatico è curabile e dunque può essere sottoposto a terapia, controllato e talvolta andare in remissione completa per un certo periodo di tempo, ma non è guaribile se non in casi particolari. Il tumore al seno non metastatico invece, soprattutto se diagnosticato in fase precoce, gestito in maniera tempestiva e opportuna in una Breast Unit, è considerato guaribile.

Ci sono sintomi a cui prestare attenzione?

I sintomi della malattia possono essere molto diversi, poichè dipendono dalla sede delle localizzazioni delle metastasi. Non è infrequente la condizione in cui, nonostante la presenza di metastasi diffuse anche in diversi organi, la malattia possa essere “asintomatica”, ovvero non dare disturbi.

I disturbi a cui fare attenzione sono:

    • Dolore fisso e costante, in uno o più punti delle ossa

    • Debolezza e stato di affaticamento generale persistenti

    • Tosse secca e persistente

    • Difficoltà a respirare/respiro corto

    • Dolore al torace

    • Perdita dell’appetito

    • Dolore/dolenzia addominale, aumento di dimensioni dell’addome

    • Nausea/vomito persistenti

    • Perdita di peso

    • Ittero (ingiallimento della pelle e/o degli occhi)

    • Mal di testa intenso (specialmente se accompagnato da vomito senza nausea)

    • Disturbi della vista (visione sfuocata; visione doppia; perdita della vista improvvisa)

    • Convulsioni

    • Perdita dell’equilibrio

    • Stato confusionale

Quali sono gli obiettivi del trattamento?

I trattamenti per il tumore alla mammella avanzato comprendono trattamenti farmacologici sistemici e trattamenti locali. Essi hanno principalmente tre obiettivi:

ritardare la progressione di malattia:

Ad oggi, nella maggior parte dei casi, non esiste una cura in grado di guarire in via definitiva la malattia in fase avanzata; tuttavia, sono disponibili diversi trattamenti che aiutano a tenere sotto controllo il tumore, arrestando o rallentando la crescita delle lesioni già esistenti e/o la comparsa di nuove lesioni.

aumentare la sopravvivenza delle pazienti;

migliorare la qualità di vita di queste donne, controllando la malattia e riducendo i sintomi.

 

Fonte: aiom.it - europadonna.it

 

Ricostruzione mammaria e fisioterapia

Le più comuni modalità di chirurgia ricostruttiva dopo mastectomia utilizzano espansore e protesi in silicone, o si avvalgono dell’ausilio di lembi di tessuti di altri siti del corpo della paziente, detti lembi autologhi che vanno a ricostruire il volume mammario.

In ogni caso esiste la possibilità che si verifichino complicanze come dolore, gonfiore, contrattura capsulare, aderenze cicatriziali e disfunzioni posturali; la figura del fisioterapista può aiutare la paziente ad affrontare le possibili complicanze.

 

Ricostruzione mammaria e fisioterapiaLa ricostruzione più diffusa è quella che avviene con l’inserimento di un espansore mio-cutaneo che poi viene sostituito da una protesi in silicone, dopo adeguato riempimento e dilatazione dei tessuti. In questo caso si può andare incontro al rischio dell’ispessimento e contrattura  della capsula, ossia dei tessuti che “inglobano” la protesi  stessa. 

Le cause sono multifattoriali: tipologia di protesi adottata, sede di impianto o infezione batterica. La più frequente è la risposta immunologica naturale del corpo alle protesi o agli espansori;  l’organismo riconosce il corpo impiantato come una minaccia, ed esso viene avvolto da tessuto fibrotico che tenta di contenere il corpo estraneo.In alcuni casi la risposta è eccessiva e si crea una contrattura capsulare; la protesi diventa dura, deformata e dolorosa; il rischio di “rigetto” della protesi in silicone varia dal 4% al 10%. 

La conseguenza è sia estetica sia funzionale ma talvolta così importante da richiedere un nuovo intervento. La fisioterapia, previo parere del chirurgo, può ridurne il manifestarsi del fenomeno e comunque ridurne i disturbi utilizzando tecniche di massaggio e mobilizzazione precoce.
 

Nelle ricostruzioni con lembi autologhi si utilizzano:

  • lembo mio-cutaneo dell’addome o solo adiposo-cutaneo dell’addome
  • con un’asola di muscolo e cute del gran dorsale che può essere usata da sola o con l’inserimento di una protesi in silicone
  • può essere utile ance la ricostruzione con lipofilling, cioè utilizzano grasso autologo adeguatamente preparato
 
Contrattura capsulare

Le complicanze in questo caso sono più di natura postulare, cicatriziale e di contratture antalgiche; anche in questo caso la poca letteratura scientifica presente indica la fisioterapia come fondamentale per un
a ripresa rapida e funzionale.

Di recente, da qualche anno, si utilizzano nella ricostruzione mammaria anche protesi pre-pettorali, che in particolari casi su indicazione chirurgica, vengono inserite sopra il muscolo pettorale, evitando il suo scollamento e l’uso dell’espansore. Queste offrono un effetto estetico molto naturale ma richiedono tempi di immobilizzazione post-operatori più lunghi, con conseguente rischi aumentati sulla mobilità della spalla.
 
É importante, anche dopo la ricostruzione mammaria, lavorare con un fisioterapista esperto in senologia, per evitare complicanze immediate o tardive.